Ogni anno, tra attori hollywoodiani, maestri del fumetto e promettenti nuovi artisti, il San Diego Comic-con viene “invaso” anche da ricercatori accademici che lavorano nell’ambito dei Comic Studies, ossia nello studio critico dei fumetti, esaminati non solo per la loro valenza artistica, ma anche per il loro spessore letterario, culturale, politico, sociologico e psicologico. Nel programma del SDCC, infatti, diversi panel sono dedicati alla Comics Arts Conference (http://comicsartsconference.wp.txstate.edu/), conferenza che analizza lo sfaccettato e travolgente mondo della cosiddetta “nona arte”.
Durante l’ultima edizione, la cinquantesima, svoltasi tra il 17 e il 21 luglio 2019, c’era anche un’italiana nel novero dei ricercatori invitati alla manifestazione. Elisabetta Di Minico, autrice del saggio Il futuro in bilico (http://www.meltemieditore.it/catalogo/il-futuro-in-bilico/) e attualmente membro del gruppo di ricerca HISTOPIA presso l’Università Autonoma di Madrid (https://utopia.hypotheses.org/histopia), è specializzata in distopia, violenza e controllo. Dal 2010, la studiosa, volto amico anche del Romics, utilizza il genere distopico per analizzare provocatoriamente la società contemporanea. Nel corso del suo intervento al SDCC, Elisabetta ha parlato dell’amata e celebrata saga degli X-Men, mostrando come i mutanti siano una metafora della diversità, come essi incarnino ogni tipo di alterità (sessuale, etnico/razziale, ideologica, economica, etc.) rifiutata, marginalizzata e oppressa. Eccovi una sintesi in italiano del suo discorso, tratto da X-Men Saga and the Dystopian Otherness: Race, Identity, Repression and Inclusiveness in Mutant World, un interessante capitolo recentemente pubblicato nel libro collettivo Utopia and Dystopia in the Age of Trump. (https://rowman.com/ISBN/9781683931676/Utopia-and-Dystopia-in-the-Age-of-...)
Nelle distopie politiche più oscure, il corpo, privato e pubblico, dei cittadini diviene un significante medium su cui l’autorità può imporre dottrina, politica e strutture sociali. I corpi che rappresentano “l’alterità” si trasformano, quindi, in elementi pericolosi. Supereroi, mutanti, alieni, ribelli, donne, omosessuali, minoranze e ogni gruppo potenzialmente in grado di alterare lo status quo può essere visto come una minaccia e perseguitato. Perché siamo spaventati dall’alterità? Perché le distopie politiche hanno bisogno di trasformare la diversità in un elemento di crisi e trauma? Queste domande, soprattutto oggi, non riguardano solo la finzione: i distruttivi incubi della distopia sono infettati dalle derive xenofobe, misogine e omofobiche della nostra società e, nella maggioranza dei casi, denunciano un “male” che è semplicemente la trasfigurazione teatralizzata ed estremizzata di problemi reali, ispirati dalla storia e drammaticamente presenti nel nostro mondo.
Riplasmando miti antichi e folklore, il fumetto racconta costantemente di personaggi più o meno umani in cerca del loro posto nel mondo. Nelle sue pagine leggiamo spesso di discriminazione, segregazione, bullismo, violenza contro corpi deboli o discordanti e opposizione tra “buoni” e “cattivi”.
Ci sono innumerevoli titoli con un forte valore sociale che descrivono spaventose distopie politiche, tra cui, ad esempio, V per Vendetta di Moore e Lloyd, Give Me Liberty di Miller e Gibbons, Ministero di Barreiro e Solano Lopez, Watchmen di Moore e Gibbons e Transmetropolitan di Ellis e Robertson. Uno dei migliori esempi di distopia politica, perfetto per spiegare la violenza contro l’alterità e le ripercussioni delle azioni discriminatorie sulla società è la saga degli X-Men, anche se essa non può essere definita costantemente e unicamente distopica. Creata nel 1963 da Stan Lee e Jack Kirby e rilanciata da Chris Claremont e John Byrne negli anni ’70, racconta della condizione dei mutanti, umani dotati di abilità e caratteristiche superumane. In un mondo dominato da pregiudizi antimutanti, repressione, confino e crimini d’odio, gli X-Men si oppongono all’astio e alla paura, promuovendo la creazione di una società pacifica e giusta per tutti. Il loro mondo è estremamente complesso e ampio. I primi 5 membri, studenti della Scuola per Giovani Dotati di Charles Xavier, aka Professor X, potente telepate e leader del gruppo, sono Angelo, Ciclope, Bestia, Uomo Ghiaccio e Marvel Girl, il cui vero nome è Jean Grey. Nonostante siano bianchi appartenenti alla classe medio-alta, questi personaggi finiscono per rappresentare una minoranza temuta e rifiutata, opposta alla società tradizionale e dominante. Negli anni successivi, molti altri mutanti si uniscono e a volte abbandonano il team. Essi provengono da nazioni, gruppi etnico-razziali e background economici differenti, incarnando l’idea di alterità non solo concettualmente, ma anche visivamente e storicamente, e promuovendo modelli alternativi di supereroi, come il russo Colosso, il contrastato Wolverine e Tempesta, uno dei più forti simboli antirazzisti e antipatriarcali della nona arte. Gli X-Men combattono contro molti nemici umani e superumani, come Magneto e i suoi seguaci della Confraternita dei Mutanti Malvagi, un gruppo di supervillain che promuove la superiorità dei mutanti.
Nati durante gli anni ’60, epoca utopica in cui si affermano narrazioni politiche e azioni di protesta in nome di integrazione, emancipazione, diritti civili e uguaglianza di genere, gli X-Men sono un’allegoria sociale che parla non solo delle alienanti crisi tipiche dell’adolescenza e dell’isolamento della malattia, ma anche e soprattutto di ingiustizia, violenza e pregiudizio. “Odiati, temuti e disprezzati” perché diversi e non assimilabili, i mutanti rappresentano l’altro da un punto di vista razziale, etnico, sessuale, economico e/o ideologico.
L’universo X-Men è costellato di incarnazioni del potere distopico che richiamano il Grande Inquisitore di Dostoevskij e il Grande Fratello di Orwell, come il Senatore Robert Kelly, il quale tratta l’alterità come una collettiva e nefasta malattia bio-sociale da controllare e limitare, oppure il reverendo William Stryker, che, invocando la legge divina, compara la mutazione al peccato e chiama i fedeli ad una crociata contro i “diversi”. In numerosi archi narrativi, incontriamo le Sentinelle, robot o ibridi programmati per catturare e uccidere i mutanti, scopriamo l’esistenza di leggi che permettono discriminazione, sfruttamento e assassinio, come nelle pagine più nere della storia reale, la schiavitù negli USA, la Shoah o l’Apartheid in Sud Africa, e seguiamo l’evoluzione dell’oratoria e delle azioni antimutanti. Odio e paura iniziano ad affermarsi attraverso la ripetizione di parole e immagini negative che supportano l’identificazione, la categorizzazione e la separazione tra emarginati e parte giusta della popolazione, si sviluppano con lo svilimento o la criminalizzazione di chi propone solidarietà e integrazione e si spingono fino alla legittimazione dei crimini d’odio, alla limitazione dei diritti mutanti, alla segregazione, alla schiavitù e al genocidio. Una delle poche soluzioni non propriamente violente ma comunque oppressive che le istituzioni elaborano per rapportarsi ai mutanti è curarli, sopprimendo il gene X e privandoli delle loro abilità. Il mai scomparso “fardello dell’uomo bianco”, caratteristico di colonialismo e imperialismo, diviene così “il fardello dell’umanità” contro la barbarie mutante. Il processo, però, rimane lo stesso: la parte dominante della società decide che l’essenza (cultura, tradizioni, pratiche sociali, linguaggio, religione, estetica, etc.) di una comunità giudicata “inferiore”, “incivile” e/o “minacciosa” debba essere sostituita con forme più appropriate e ortodosse. In ogni caso, la diversità va classificata, ordinata, annientata o, se possibile, curata, come se fosse una malattia. Chiaramente, nel mondo reale, non siamo ancora o - meglio - di nuovo arrivati a questo punto, ma, comunque, possiamo riconoscere diversi sintomi distopici nella nostra società, a partire dalla normalizzazione di odio, violenza e abuso, dalla mortificazione dell’alterità e dal rafforzamento dei discorsi post-verità che si affidano ai sentimenti istintivi, negativi e prevaricatori e non al ragionamento razionale e civile. La repressione non inizia subito, ma, una volta che le autorità hanno aperto la strada, nessuno è più al sicuro. In un mondo in cui genitori e figli possono essere separati ai confini, in cui i diritti delle donne e della comunità LGBT possono essere messi in dubbio, in cui la violenza contro le minoranze può essere giustificata, in cui i migranti possono essere lasciati a morire in mare, tutti possiamo essere mutanti, tutti possiamo convertirci in personaggi di una distopia politica. Se vogliamo costruire un futuro utopico, dobbiamo guardare nell’abisso della distopia e pacificamente combattere contro discorsi, miti e azioni repressive attraverso educazione, cultura e rispetto. Potrà sembrare stano, ma i fumetti possono supportare questa resistenza contro la distopia perché rendono popolari archetipi e stereotipi dell’alterità e chiarificano i pregiudizi, la retorica e i metodi che contribuiscono alla demonizzazione dell’altro, promuovendo inclusione e rispetto dei diritti umani e civili. Charles Xavier, mentore degli X-Men, afferma: “Le parole, la derisione, la sfiducia o la disinformazione non possono cambiare la verità: tutti noi, uomini, donne, neri, ispanici, ebrei, asiatici, nativi americani, omosessuali, mutanti, oltre la terminologia, siamo connessi. Siamo tutti una famiglia.” Quello che ci unisce è e sarà più forte di ciò che ci divide!