Gallieno Ferri, ALIAS FERGAL, DA MASKAR A ZAGOR. Nascere a Genova nel tramonto degli anni ’20 comportava probabilmente un destino avventuroso. Così, comunque, è stato per Gallieno Ferri, genovese con una spiccata vocazione alla visionarietà, diplomato geometra e poi diventato un maestro del fumetto, che nel 2001 confessava in un’intervista (citata nel prezioso volume di Graziano Freudiani, i mille mondi di Zagor, pubblicato da Sergio Bonelli): “Ho sempre avuto uno spirito avventuroso e l’ho dato a Zagor”. Già, siamo abituati a collegare Ferri a Zagor, o meglio Za-gor-te-nay, lo “spirito con la scure” della foresta di Darkwood, luogo immaginario inventato da Guido Nolitta, che ormai tutti sanno essere lo pseudonimo del Sergio Bonelli creativo. Più che una delle tante “terre di mezzo”, tuttavia, Darkwood – intuizione geniale sin dal nome, che sintetizza l’originaria produttività mitica della foresta e l’oscurità dell’inconscio – deve essere considerata come una vera e propria enciclopedia dell’immaginazione collettiva, uno spazio in cui si concentrano in ardite architetture visive le più eterogenee sostanze della fantasia. Ed è vero che Gallieno Ferri è stato il grande inventore del canone figurativo di Zagor, di questo esploratore delle frontiere tra un genere e l’altro, rendendolo uno dei personaggi che racchiudono in sé la memoria storica e la stessa identità italiana. Ma è anche vero che il maestro genovese ha fatto altro, fin da giovanissimo, quando vinse una selezione dell’editore Giovanni De Leo per disegnatori di fumetto. A nemmeno vent’anni, Ferri si firma Fergal e illustra le prime serie (Il Fantasma Verde e Piuma Rossa), prima di passare ad un fumetto forse poco ricordato ma molto amato da chi ebbe la fortuna di goderne, quel Maskar fosco e brutale, dall’animo modernamente noir sebbene scaturito dalla stessa pletora dei vendicatori da feuilleton che aveva ispirato personaggi come l’Uomo Mascherato (The Phantom) o il franceseFantax (che lo stesso Ferri ebbe per un po’ a realizzare), spettrali concrezioni di un conflitto sociale che si rendeva visibile soprattutto attraverso le figurazioni simboliche dell’immaginario popolare. Nel passaggio tra gli anni del dopoguerra e i ’50, Ferri lavora per il mercato francese con le serie western Tom Tom e Thunder Jack. Sono tempi eroici e disordinati per il fumetto italiano, una vera età espansiva fatta di molta energia creativa, del bisogno di individuare un pubblico nuovo attraverso l’adesione all’immaginario internazionale che impattava sulla società italiana emersa dalla guerra, dal ventennio fascista e dai suoi miti autarchici. Sono gli anni di Tex, dei Disney italiani, in breve dell’età d’oro del nostro fumetto, che ha scandito l’esperienza del tardo novecento e la quotidianità delle nostre esistenze. Di quell’età e di quella storia, Gallieno Ferri è sicuramente stato uno dei protagonisti più grandi.